L’art 42 co.2 del del Decreto Legge n.18/2020 convertito con la legge n. 27/2020, anche conosciuto come decreto “Cura Italia, ha equiparato ai fini assicurativi l’infezione da coronavirus avvenuta in “occasione di lavoro” all’infortunio da lavoro protetto dall’assicurazione obbligatoria Inail.
Si stabilisce in sostanza che in ipotesi di contrazione del virus in ambito lavorativo, viene riconosciuta una protezione di tipo economico sia al lavoratore per il danno alla salute subito, sia una protezione economica anche alle famiglie per la perdita del reddito nell’ipotesi di decesso del lavoratore.
La norma stabilisce inoltre che nessun tipo di onere sarà posto a carico delle imprese, nemmeno in termini di aumento dei premi assicurativi.
Pertanto si prevede esclusivamente una equiparazione tra l’infortunio su lavoro e il contagio del virus in occasione di lavoro, garantendo una protezione il più ampia possibile che è quella appunto prevista per l’ infortunio subito in “ occasione di lavoro” , diversamente da quanto, invece, previsto per la malattia professionale per la quale occorre invece accertare un nesso di causalità con l’attività lavorativa .
L’Inail, che con la circolare n. 13 del 3 aprile 2020, ha ulteriormente specificato che le malattie infettive e parassitarie sono pacificamente inquadrate nella categoria degli infortuni sul lavoro, a cui si debbono pertanto ricondurre anche i casi di infezione da coronavirus.
Ciò detto però, l’equiparazione di infortunio sul lavoro al contagio da coronavirus, può schiudere dei potenziali profili di responsabilità sia penale che civile per il datore di lavoro.
QUADRO NORMATIVO GENERALE
È necessario quindi procedere ad una preliminare disamina di quello che è il quadro normativo generale di riferimento.
Come è noto l’art 2087 del codice civile pone in capo ad datore di lavoro una “posizione di garanzia”, prevedendo per l'imprenditore, l'obbligo di adottare, nell'esercizio dell'impresa, tutte quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro ed a prevenire l'insorgenza di malattie correlate al lavoro stesso.
A questa norma generale si affiancano poi le disposizioni previste dal D.Lgs. n. 81/2008 (T.U. Salute e Sicurezza sul lavoro) e, in particolare, dall’art. 18, che pone a carico del datore di lavoro alcuni obblighi specifici tra cui ad esempio:
- fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale;
- informare il più presto i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;
- astenersi dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato.
NORMATIVA EMERGENZIALE
In questo quadro normativo si è poi venuta inserendo la cosiddetta regolamentazione “ emergenziale” , posta in essere per fronteggiare l’emergenza.
Da ultimo è intervenuto il DPCM del 26 Aprile 2020 che all’articolo 2 co. 6 impone alle imprese le cui attività non sono sospese di rispettare “i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali”.
Vale a dire rispettare, tra le altre, le regole sulle informazioni da fornire ai dipendenti, sulle modalità e gestione degli ingressi e uscite dall’azienda, sull’accesso dei fornitori esterni, pulizia e sanificazione, sulle precauzioni igieniche personali e dispositivi di protezione individuale, sulla gestione degli spazi comuni e organizzazione aziendale, nonché sulla gestione di una persona sintomatica e sulla sorveglianza sanitaria.
PROFILI DI RESPONSABILITA' PENALE?
L’omissione di tali cautele da parte dell’imprenditore potrebbe determinare per lo stesso, un potenziale profilo di responsabilità penale ai sensi dell'art. 40 c 2 cp., configurandosi come reato omissivo improprio, o reato commissivo mediante omissione, venendo nello specifico a rispondere del reato di lesioni di cui all’art. 590 c.p. (salvo ipotesi di malattia lieve, guaribile in meno di 40 giorni, procedibile a querela), oppure di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p. qualora al contagio sia seguita la morte, oltre alla circostanza aggravante della violazione delle norme antinfortunistiche (art. 590, comma 3, c.p.).
L’Inail con Circolare n. 22 del 20 maggio 2020 ha precisato, come è normale che fosse, che l’equiparazione a fini assicurativi del contagio da coronavirus all’infortunio su lavoro, non comporta nessuna presunzione di responsabilità penale su datore.
E’ chiaro quindi che sarà comunque necessario fornire la prova “al di là di ogni ragionevole dubbio” e corroborare la tesi della colpevolezza del datore di lavoro escludendo con sufficiente certezza l’esistenza di altre cause di contagio esterne alla responsabilità datoriale.
Tenendo anche in considerazione la virulenza del Covid ed il lungo periodo di incubazione che può arrivare fino a 14 giorni, risulterà estremamente difficile per il lavoratore dimostrare con esattezza che il contagio sia avvenuto all’interno della sede del lavoro.
Sarà, quindi, arduo dimostrare che le lesioni o la morte, siano dovute, con ragionevole certezza, da un’infezione da Covid-19 avvenuta negli spazi di lavoro e non al di fuori di essi.
Ciononostante, per andare esente da qualsivoglia tipo di responsabilità risulta indispensabile per il datore di lavoro seguire con precisione tutte le indicazioni prescritte dalla legge, procedendo anche ad una revisione periodica del documento di valutazione dei rischi.
A cura dell'Avv. Domenico Sica
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